Questa è la storia del figlio di dio. Venuto al mondo nel momento del massimo splendore del celeste genitore, il 9 febbraio del 1974. Il piccolo crebbe nella bambagia: coccolato, sempre in giro per il mondo, prima classe e tanti amici biondi come lui e le giornate sulla spiaggia, e i primi calci al pallone, e poi quelle birre chiare e leggere, i gamberi e i calamari come tapas, le macchine veloci, le donne, tante donne.
Naturale che anche il figlio volesse seguire le orme del padre, orme scritte con gli scarpini, maglia fuori dai pantaloni, calzettoni abbassati e capelli al vento, verso la porta. Ma dio non si può imitare, sarebbe patetico, e il figlio capì subito che sarebbe stato meglio togliere il cognome dalla maglia e farsi chiamare solo per nome, infilarsi in mezzo alla foresta del centrocampo e parlare poco. Il Barcellona, con papà in panchina, il Manchester United, il Celta Vigo, l’Alaves e l’Espanyol.
La Nazionale, addirittura, in un’Olanda povera di idee e di campioni, e poi nella Catalogna, perché in fondo lui è sempre stato catalano, a partire dal nome. Il figlio di Dio giocò anche in Ucraina – nel ruolo di difensore centrale – e chiuse la carriera a Malta, pieno di soldi e ormai senza capelli. Il figlio di dio si chiama Jordi Cruijff. Anzi, Jordi, solo Jordi.
Andrea Arena