Tantissime volte ci troviamo di fronte al dubbio se qualcuno abbia veramente ascoltato e compreso ciò che abbiamo detto o se esiste qualcuno disposto veramente ad ascoltarci. In questo articolo proviamo a sviscerare questo termine, partendo dalla sua etimologia, fino ad arrivare ai suoi numerosi utilizzi.
Ascoltare significa udire con attenzione, udire le parole, le cose che si dicono, la persona che parla. Il che implica il percepire distintamente suoni o rumori con l’organo dell’udito; apprendere, attraverso i sensi, ricevere una o più impressioni sensoriali e averne coscienza. Esistono diverse tipologie di ascolto: ascolto passivo o inefficace, ascolto selettivo, ascolto competitivo, ascolto riflessivo.
Le tipologie di ascolto
Quando si parla di ascolto passivo ci troviamo di fronte a una persona che è effettivamente intenzionata a comprendere il messaggio di chi parla, ma non si assicura di aver compreso. Con l’ascolto selettivo colui che ascolta sente solo quello che vuole sentire. Chi utilizza un ascolto competitivo è più attento a sostenere i propri argomenti, piuttosto che a comprendere cosa intende dire veramente colui che parla. Nell’ascolto riflessivo chi ascolta è “utilizzato” dal mittente perché riflette, come uno specchio, le idee dell’interlocutore e lo aiuta ad affrontare il problema, che per lo più è emotivo.
Infine c’è l’ascolto attivo ed efficace che implica l’essere motivato, la capacità e la tendenza ad ascoltare l’intero messaggio e a non giudicare, tre ingredienti che non solo permettono di realizzare un buon atto comunicativo ma che ci fanno vivere la piacevole sensazione di essere veramente capiti da qualcuno.
Chi ascolta efficacemente aspetta a giudicare e tenta di capire l’altra persona, non di impressionarla: ascolta tutto e poi pensa a rispondere; si concentra sulle idee principali, sui principi, sui messaggi fondamentali; non si preoccupa di ricordare ogni cosa; si sforza di rimanere attento, si concentra sul contenuto e riassume mentalmente; mantiene il contatto visivo con chi parla, avverte le sue emozioni, ma le controlla, le contiene.
Ascolto interiore e silenzio
Ascoltare non significa soltanto attivare l’udito. C’è un ascolto interiore, fatto con il cuore, un ascolto che ci mette in contatto con l’altro ma anche con noi stessi. Le sensazioni che una persona o uno stimolo esterno ci attivano, vanno ascoltate. Così come va ascoltato il nostro corpo; un dolore, un fastidio, una tensione spesso ci racconta molte cose di noi. Per comprenderlo è necessario ascoltarlo e capire cosa ci sta dicendo, per poter poi intervenire, incamminandoci nella direzione giusta per alleviarlo e raggiungere un benessere.
Infine voglio portare la vostra attenzione sulla capacità di ascoltare il silenzio. È lì che possiamo trovare tante informazioni e tante risposte. Spesso non le contattiamo perché le prime cose che vengono messe in risalto quando parliamo di silenzio sono la paura e l’angoscia. Allora il silenzio diventa uno spazio da riempire piuttosto che da ascoltare. Bisogna soltanto porsi come dei buoni ascoltatori e mescolare gli ingredienti necessari. Con le parole di Khalil Gibran, “esiste un momento in cui le parole si consumano e il silenzio inizia a raccontare”.
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