Unicorno: dal latino unicornis, “un solo corno”. È un animale mitologico, una creatura leggendaria che, grazie anche ai social media, è diventato un simbolo, un animale-totem, icona di un mondo fiabesco e incantato fatto di magia e unicità, oltre che protagonista indiscusso delle più elaborate feste a tema in tutto il mondo.
Nonostante il suo significato sia cambiato e si sia evoluto nel corso della storia, una cosa è rimasta sempre la stessa: rappresenta tutto ciò che è bellissimo, ma difficile da catturare. Non è un caso che questa figura sia stata scelta per indicare anche qualcosa di molto speciale nella nostra realtà, ovvero, come le definisce Spremute Digitali, le startup che ce l’hanno fatta.
Grazie al termine coniato nel 2013 dalla fondatrice di Cowboy Ventures Aileen Lee, infatti, con l’espressione “azienda unicorno” si intende una startup che ha raggiunto una valutazione di mercato che supera il miliardo di dollari, senza quotazione in borsa. Queste aziende non sono solo un esempio di successo e un modello per i giovani founder, ma creano anche un enorme valore economico.
In Europa ci sono oltre 150 unicorni (nel 2021 erano 132). Primo il Regno Unito con 44 unicorni, seguono Germania (29), la Francia (25), Svezia e Spagna con 8. Purtroppo, il numero in Italia è molto più basso. Tecnicamente c’è un solo un unicorno, Scalapay, il terzo dopo Depop e Yoox, entrambe già cedute a società straniere. Il divario appare evidente se si confronta anche il capitale raccolto: dal 2011 al 2021, l’Italia non è arrivata a 4 miliardi di euro. Ad esempio, le startup francesi e spagnole hanno raccolto rispettivamente oltre 10 e 4 miliardi nel solo 2021.
Perché avviene questo? Si tratta principalmente di una questione di ecosistema (environment). Secondo Formiche.net, una startup interamente italiana è diversa da una che compie lo stesso percorso in altri paesi, europei e non. Le regolamentazioni sono diverse, così come l’ambiente finanziario, amministrativo e anche culturale.
Startup e unicorni tra Italia, Europa e USA
Innanzitutto è necessaria una distinzione tra startup lanciate da italiani e poi “emigrate” all’estero e startup nate e cresciute in Italia. Infatti, molti fondatori hanno deciso di spostarsi in ecosistemi più dinamici e favorevoli per la raccolta di capitali e l’ingresso nel mercato. Tuttavia, per una startup non è semplice mettersi in gioco in Europa, a causa di una serie di ostacoli che vanno dalla lingua alle norme. Diverso il discorso degli Stati Uniti, dove nei 50 Stati si parla la stessa lingua e l’ecosistema è più ricettivo. Per una startup, insomma, è molto più facile “scalare”, cioè crescere di dimensioni, negli USA rispetto ad una startup che nasce in Europa.
Sono tutte barriere altissime a causa di usi e costumi diversi. Inoltre in Italia, a discapito del tantissimo talento, c’è decisamente meno finanziamento nella fase del decollo rispetto a quel che accade non solo nel mondo anglosassone, ma anche in Francia, Germania e Spagna. Occorre, quindi, lavorare ancora molto per essere al passo con altre realtà e favorire la nascita di campioni italiani del tech nel nostro paese, che rimane comunque tra i più efficienti della media europea nel raggiungere lo stato di unicorno.
Secondo le analisi di Agenda Digitale, integrate con quelle del report European Unicorn & Soonicorn di i5invest, sono 16 le società fondate da imprenditori italiani che potrebbero diventare unicorni nel giro di pochi anni (i cosiddetti soonicorn): Satispay, Credimi, Prima Assicurazioni; Soldo, Yolo, Moneyfarm, MMI – Medical Micro Instruments; Genenta Science, Enthera, Newcleo, Roboze; D-Orbit, Musixmatch, Everli, Casavo, Planet Smart City. Non ci resta che tenerle d’occhio e fare il tifo per loro.
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