Quel giorno Marina pensò che tutto era finito. Ma un tutto che è difficile descrivere, era come un vento che le soffiava dentro, o forse no, una sensazione di calore che se ne andava per sempre.
Non ci sarebbero stati più viaggi al mare, con Antonio che guidava e scherzava mentre guidava la vecchia 126 di sua madre. E Marina che al ritorno dalla discoteca si metteva al volante perché lui aveva bevuto troppi gin tonic. Non ci sarebbero più state le sue mani che le toccavano le ginocchia all’andata, lei che fingeva di arrabbiarsi. Non ci sarebbero più state le parole dolci di Marina al ritorno, ogni tanto la sua mano passata sui capelli sudati di Antonio, mentre lui combatteva con la sbronza, che per fortuna era sempre gentile. Tutto finito.
Era dunque questa la giovinezza che si spegneva, con Antonio che dopo cinque anni le aveva spiegato che c’era un’altra e che non se la sentiva di prenderla in giro, perché le voleva ancora bene, ma per lei non provava più nulla, anzi a volte sentiva un poco di fastidio perché era stata ingombrante nella sua vita. Marina non aveva pianto, non aveva urlato, non aveva chiesto da quando andava avanti la storia con l’altra. E neppure da quando l’amore si era trasformato in fastidio e in affetto, che era anche peggio. Aveva solo detto ”va bene”, aveva portato via la stanchezza dei suoi 26 anni che in quel momento le erano sembrati 40.
Poi i quaranta sono arrivati sul serio e Marina ora sta pulendo la casa della madre che ormai non ce la fa più da sola. «Quasi mi dimenticavo – dice la madre – ieri mentre svuotavo la cantina è saltata fuori quella borsa che quindici anni fa pensavo mi avessero rubato. Era caduta dietro al mobile. C’erano 20 mila lire dentro, pensa. Ah, anche della posta, una lettera per te, ma non so di chi sia». Marina la apre solo quando torna nel suo appartamento, non ama la curiosità della madre. Sente come una scossa di terremoto, è (era) di Antonio. «Ho sbagliato tutto» comincia. E le chiede di tornare con lui. Fu inviata nel 2000 o nel 2001. Mail, sms, WhatsApp, Facebook o non c’erano o non erano ancora diffusi come oggi. Antonio, cinque anni dopo l’addio, l’aveva cercata scrivendo una lettera. «Non la faccio tanto lunga, semplicemente ho capito che sei l’unica donna che amo. Forse tu mi hai dimenticato, ma se così non fosse, cercami, io non ho il coraggio di telefonarti». Avesse letto quella lettera allora, sì, lo avrebbe cercato.
Era sola, come è sola oggi e in fondo ci aveva sempre sperato di tornare con Antonio. Fino a quando, pochi mesi dopo la data di invio di quella lettera, Marina non lesse sul quotidiano cittadino che Antonio era morto in un incidente stradale, mentre tornava da solo dal mare. Forse ubriaco, chissà. Se la lettera non fosse andata perduta, si sarebbero rimessi insieme, Antonio non sarebbe morto perché avrebbe guidato lei al posto suo, Marina ora non sarebbe una quarantenne sola, chissà forse avrebbero dei figli. Se fossero nati dieci anni più tardi, pensò ancora, sarebbero ancora insieme, perché Antonio l’avrebbe cercata su Facebook, non ci sarebbero state lettere perdute.
Ed ecco che dall’iPad si alza la suoneria di Skype, lo schermo annuncia una video chiamata in arrivo da “Antonio”. Marina non capisce, non conosce nessuno che abbia il nome del primo fidanzato. Risponde. Prima confusa, poi definita, appare l’immagine di lui. Antonio. Antonio. Antonio. «Come stai, non sei cambiata» dice. Marina resta in silenzio, rapidamente mette in fila le possibili spiegazioni.
Uno scherzo con un sosia, ma chi potrebbe averlo ideato tra i pochi amici che le sono rimasti? O forse Antonio non era morto in quell’incidente stradale, era solo una messinscena. Eppure Marina era andata all’obitorio, aveva pianto vicino alla salma. «Ma chi sei?». «Sono Antonio, non mi riconosci? E sì, sono morto. Però succede che i morti possano comunicare con i vivi, no? Ognuno di noi, in vita, ama pensarlo. Ecco, io ti sto parlando». «Con Skype?». «Perché no? Preferivi che uscissi da un armadio con un lenzuolo bianco? Hai trovato la lettera, ho saputo». «E chi te l’ha detto?». «Le notizie girano dove mi trovo io – sorride Antonio, ha il sorriso di un tempo – Avevo pensato che non volessi tornare con me. E ti avevo capita, certo. Dove sono ora, si comprende meglio che da vivi sentiamo come inevitabili alcune scelte che poi si rivelano sbagliate. Ma nel momento in cui le compiano, non sono un errore, non possiamo fare altro. Forse avevo bisogno di cinque anni per tornare a sentirmi legato a te». «Ma dove sei ora?» piange Marina che non crede che davvero sia possibile parlare su Skype con un morto.
Ed è allora che si sveglia, l’aveva capito da subito che si sarebbe svegliata, che ovviamente era solo un sogno stupido. Guarda l’orologio del telefonino, è tardi, ha appuntamento con l’avvocato per la causa di separazione. La lettera di Antonio non era mai andata perduta, l’aveva letta, era tornata con lui, si erano sposati. E ora si stanno separando. Si stanno facendo molto male.