“Plaza de Dolores”, un racconto di Mauro Evangelisti

15 Marzo 2016

La langosta non è male, ma il riso sembra fango e il vino rosso brodaglia. Carlo però è soddisfatto. Si sente al sicuro, per quanto possa sentirsi al sicuro il poliziotto che ha catturato il boss mafioso più ricercato d’Europa.

Ora è lui il fuggitivo, il governo gli ha dato soldi, tempo e un nome nuovo perché provi a salvarsi la vita. Nessuno sa che è a Cuba. I superiori pensano che sia in Canada. Carlo non si è fidato e ora sta bevendo l’ultimo sorso di un insapore vino rosso e osservando, dalla finestra del ristorante El Gordo, la vita che passa sul selciato del parque di Plaza de Dolores, a Santiago de Cuba.

Odore di asfalto arrostito dal sole tramontato da poco. Anziani seduti sulle panchine, al fianco i bastoni da passeggio, che discutono a voce alta di baseball. Chiome degli alberi che celano la luna attorno ai quali vagano giovani avidi di turisti a cui spillare dollari, in cambio di informazioni, sorrisi, donne e appartamenti dove portare le donne. Le jineteras, le ragazze che cercano lo straniero, sono quasi tutte in attesa davanti alla discoteca dell’hotel Las Americas. La sera prima Carlo le ha osservate ballare con una coreografia che sembrava il meccanismo di un orologio svizzero “Un, dos, tres, Maria”.

Metà anni Novanta, il bloqueo degli yanquis soffoca ancora la rachitica economia cubana. E le ragazze ansimano per i dollari e dunque per i turisti. Per mangiare ma anche per comprarsi i jeans Dolce e Gabbana. Carlo si è imposto di non portarne nessuna nella casa particular che ha affittato. Forse chi lo sta cercando lo troverà sudato anche nel caldo insopportabile di Santiago de Cuba. E lo ucciderà. Carlo non vuole che qualcun altro rischi la vita insieme a lui. Succede sempre così nei film, no? La cattiva ma dolce ragazza di cui l’eroe s’innamora muore al posto suo, uccisa dai veri cattivi. Ogni notte è arduo resistere ai culi scolpiti, ai collaudati movimenti di bacino delle ragazze della discoteca del Las Americas. Poi, mentre il cameriere gli porta il dolce – arroz con leche – vede lei, che passeggia e studia l’ambiente in Plaza de Dolores.

È bassa, bianca e minuta, ma ha un abito chiaro che le arriva sopra le ginocchia, le scopre le spalle ed esalta il seno generoso, accarezzato dai capelli biondi da Barbie. Gli sguardi si incontrano, lei non sorride, disdegna le tecniche di seduzione di una jinetera. Quando Carlo si volta per chiedere il conto, lei scompare. La ritrova dopo due ore alla discoteca dell’hotel Las Americas, e il castello di precauzioni crolla. Le offre un Cuba Libre, lei gli racconta che ha 23 anni, 15 in meno di lui. La porta a casa, la guarda mentre si spoglia, e vede un tipo di perfezione che lo commuove e lo eccita. Dopo due ore di sesso, le allunga 100 dollari e le chiede di andarsene. Si chiama Irina.

Al mattino decide che non succederà più, già immagina la scena degli uomini del boss che li sorprendono a letto, sparano, lui evita i proiettili, ma Irina viene uccisa. È come se sentisse l’odore del suo sangue. La sera dopo alla discoteca dell’Hotel Las Americas la vede al bancone, le passa vicino, ma non la saluta, mentre Irina sta allungando la guancia perché si aspetta un bacio. Dopo un’ora esce e la vede seduta sul marciapiede, sta piangendo. Lui si avvicina, non riesce a fermarsi anche se sa che deve fermarsi, e le chiede scusa. «Non si trattano così le persone, potevi almeno salutarmi, non sono un cane. Con te ero stata bene» dice Irina con il suo italiano claudicante. «Dai, mangiamo qualcosa».

Comprano dei panini al Rapido, il Mc Donald’s castrista, mangiano nella sala da pranzo della casa in stile coloniale vicino a Parque de Cespedes, dove Carlo paga 40 dollari a notte. Dopo vanno a dormire, si abbracciano, ma non fanno l’amore. Il giorno dopo noleggiano una Daewoo Tico, e vanno al mare, alla Playa de Siboney, per strada però si fermano in una vecchia casa che si potrebbe anche chiamare capanna e Irina presenta a Carlo sua madre. Prende una cassetta dallo stereo e la mette nell’autoradio della Tico. ”No llores por mi” canta per tutto il viaggio Enrique Iglesias e Irina e Carlo cantano con lui.

Irina si trasferisce da Carlo che non riesce a capire come abbia fatto a dormire, fino ad allora, senza abbracciarla. Ogni notte lo stesso incubo, gli uomini del boss entrano, sparano, lui evita i proiettili, Irina viene colpita, sangue. L’incubo un giorno diviene realtà: succede però nella sala da pranzo, un boato, la porta cade, entrano in due, armati, Carlo si avventa su di loro, parte un colpo. Carlo è una furia, prende il coltello e li ferisce entrambi. Sta per finirli, poi c’è il buio, il dolore, una sbarra di ferro lo ha colpito alla testa. È stata Irina. I due si rialzano, recuperano la pistola, lui è intontito, gli sferrano un calcio. Carlo li vede, sfocati, allungare banconote da 100 dollari a Irina che sorride: «Sei stata brava, ti sei meritata più soldi».

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