“Il vicepreside”, un racconto di Mauro Evangelisti

1 Settembre 2015

Anche questa sera ha mangiato la pizza al taglio comprata sotto casa. Voleva fare in fretta, accendere il tablet e immergersi in Facebook. Usa, come sempre più spesso gli capita, il profilo con un nome inventato: Daniele Fighter, 20 anni.

Nella foto c’è l’immagine di un ragazzo danese trovata in rete. Ha anche un profilo veritiero: Antonio Armati, 51 anni, vicepreside del liceo Alighieri. Ma lo apre di rado, nella rete di contatti della vita reale non succede nulla di interessante. Invece Daniele Fighter è amico di Mattia e Susanna. Una volta ha chiesto loro l’amicizia ed entrambi distrattamente gliel’hanno concessa. Sono studenti della sua scuola, già durante il secondo anno i loro volti, i loro atteggiamenti, il loro modo di ridere e parlare lo avevano colpito e aveva deciso di seguirli su Facebook, in fondo che male c’era? All’inizio visitava solo ogni tanto le loro pagine.

Poi, lentamente, il tempo che dedicava alle loro vite era aumentato, lo faceva quasi ogni sera, qualche volta anche a scuola dall’iPhone. Li vedeva passare, splendenti, nel corridoio e correva a verificare gli ultimi aggiornamenti su Facebook: Mattia spiegava che il padre gli aveva acquistato lo scooter, Susanna aveva pubblicato una foto di lei che indossava il casco, sorridente, e il commento malizioso: “La mia prima volta con Mattia. Sullo scooter, che avevate capito?”. Il vicepreside non aveva concluso se Mattia e Susanna stavano insieme o erano solo amici. Quando all’entrata di scuola vedeva il viso corrucciato di uno dei due, allora su Facebook cercava le ragioni del cambiamento di umore. Mattia: che palle mio padre, ancora con questa storia che spendo troppi soldi. Susanna: alla fine ci fidiamo sempre delle persone sbagliate.

Ma il più delle volte, in due anni, il vicepreside aveva invidiato le vite di Mattia e Susanna. Le loro foto con strane smorfie in discoteca, abbracciati in spiaggia, danzando su un prato con una decina di amici, con delle birre e la scritta “anche quest’anno la scuola è finita”. Mattia e il viaggio a New York a studiare inglese, Susanna e il selfie con le amiche davanti a un locale di Riccione. E poi di nuovo insieme, allo stadio, con la sciarpa della Roma.

Il vicepreside sentiva che l’invidia, inizialmente, era una bestia timorosa di mettere fuori il muso dalla tana, poi sempre più sfrontata, indomabile. Il vicepreside invidiava Mattia e Susanna perché erano giovani e lo sarebbero rimasti ancora a lungo, mentre lui sarebbe invecchiato, stava già invecchiando, e avrebbe trascorso il tempo a curare i malanni; era invidioso perché non aveva ricordi altrettanto lucenti della sua gioventù, era tutto scivolato via senza pagine memorabili, in un’Italia più povera, almeno per quanto riguardava la sua famiglia, e con molte meno occasioni di viaggiare, comunicare, uscire. Noi avevamo molto meno ma ci divertivamo molto di più, eravamo più sinceri, sentì dire una volta da una collega.

Lui tacque, ma non era d’accordo, pensava l’opposto. E invidiava Mattia e Susanna. Un giorno, in corso il consiglio d’istituto, il vicepreside divenne rosso in volto e i colleghi gli chiesero se si sentisse male. Lui li rassicurò, si scusò, disse che aveva ricevuto un messaggio che lo informava che un suo parente era stato ricoverato, si scusò ancora ma doveva andare. Si alzò e corse a casa, accese il tablet. In realtà non aveva ricevuto alcun messaggio, ma sbirciando su Facebook dallo smartphone, durante la riunione, aveva letto lo status di Susanna: “Finalmente abbiamo fatto il grande passo, Mattia ed io ci siamo messi insieme, sono felice, sarà per sempre”. Per il vicepreside era stata una esplosione allo stomaco, ma non capiva se in positivo o in negativo. Lesse i commenti delle amiche di Susanna: “Era ora”, “Avete fatto bene”, “Sono così felice per voi”, “Ah, stronzi Emoticon smile“. Scrisse un commento, naturalmente come Daniele Fighter, ma non riuscì ad andare oltre a “che bella cosa”.

Ogni mattina scrutava Mattia e Susanna passare in corridoio mano nella mano, la sera correva a far parte delle loro vite, le foto della cena romantica, il selfie con bacio all’Olimpico, mano nella mano a Piccadilly Circus. Aveva un intreccio di sensazioni, come il dentifricio di due colori, l’invidia ma anche la gioia perché irrazionalmente si sentiva felice con loro, come se anche lui facesse parte della storia. Ecco, quella sera, dopo la pizza al taglio, il vicepreside lesse prima lo status di Mattia, laconico: “Ho trovato il coraggio di essere onesto, le ho parlato: con Susanna è finita”. Susanna: “Ho creduto in questa storia e mi sono fatta male, se anche Mattia è tanto crudele non riuscirò più a innamorarmi di nessuno”. Il vicepreside sentì le gocce di sudore sulla fronte. Il giorno dopo Mattia entrò a scuola, con lo zaino giallo in spalla. Il vicepreside gli chiese di seguirlo nella sua stanza. Lo fece sedere, chiuse la porta, aprì un cassetto, prese un coltello. Mattia non ebbe il tempo di fuggire. Nessuno riuscì mai a spiegare perché il vicepreside lo aveva ucciso.

Leggi Anche