Generazione di fenomeni. Giovani e spericolati, talmente superiori a livello fisico da non rendersi neanche conto di quello che stavano facendo. Africani, certo, però quasi tutti cresciuti in Europa.
La Nigeria fece un’impresa che alimentò tante previsioni sballate: presto una squadra del continente nero vincerà un Mondiale, il futuro è loro eccetera. Non è andata così e proprio per questo quella medaglia d’oro olimpica nel torneo di calcio ai giochi di Atlanta 1996 oggi vale ancora di più: è storia.
Certo, avevano uno squadrone, allenato da un olandese sconosciuto, Jo Bonfrére. Dietro c’erano Taribo West (all’epoca laico) e Celestine Babayaro. Sulla fascia volavano Tijani Babangida e Daniel Amokachi, in mezzo Sunday Oliseh faceva diga, J.J. Okocha faceva il matto, e davanti c’era il Van Basten africano, Nwankwo Kanu.
Un primo capolavoro lo fecero già in semifinale, contro il Brasile di Roberto Carlos, di Ronaldo e del fuoriquota Bebeto: 4-3 per i verdi con golden goal di Kanu. In finale, poi, un’altra vittoria all’ultimo secondo contro l’Argentina di Zanetti e di Almeyda, Simeone e Crespo: 3-2, medaglia d’oro per la generazione di fenomeni che spaventò il mondo.