Nel quartiere Salario di Roma, al posto di un vecchio birrificio, sorge il MACRO, ovvero il Museo delle Arti Contemporanee capitolino. A progettarlo l’estrosa architetto francese Odile Decq, in grado di farsi notare non soltanto per le originali opere, ma anche per un look trasgressivo ereditato dalla musica punk-rock degli anni ’70.
La “dama nera” dell’architettura, così come è conosciuta la Decq, ha abilmente sfruttato le preesistenze industriali per dar forma a un edificio ricco di contrasti, tra antico e nuovo ovviamente, ma anche tra linee verticali e orizzontali, tra interno ed esterno, tra luci e ombre.
Le vecchie facciate restaurate proteggono il nuovo straripante involucro del museo in vetro e acciaio che trova sbocco nell’angolo d’ingresso. La copertura del volume principale è un mondo urbano a sé stante sul quale è possibile leggere le trame interne grazie a un gioco di vuoti e pieni che ricalcano le sale sottostanti.
Un giardino di sabbia, basalto, ciottoli e acqua, contribuisce ad arredare questo spazio aperto aggiuntivo, mentre la lunga costola vetrata svela la presenza di una galleria espositiva che attraversa gli edifici contigui fino a sfociare dall’altra parte dell’isolato.
All’interno spicca infine la sala espositiva: un’astronave rossa atterrata tra le scale, i vetri e i ballatoi della dinamica struttura.