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“A Diosa. La leggenda di Nenè”, Angelo Deiana racconta il suo romanzo d’esordio

22 Gennaio 2020

Il richiamo delle radici. Dalle quali, spesso, fuggiamo. Ma verso cui, anche inconsciamente, cerchiamo sempre di tornare. Come un destino che portiamo scritto dentro di noi. Destino e radici sono il cuore di A Diosa. La leggenda di Nenè (L’Erudita), il romanzo d’esordio di Angelo Deiana, autore viterbese di origini sarde, nato nel 1991.

E proprio una terra magica come la Sardegna è il luogo che cambierà la vita al protagonista del libro. Il quale rivivrà un evento tanto incredibile quanto decisivo per l’isola: lo scudetto del Cagliari nel 1970 e la vicenda di uno dei suoi calciatori, forse il più dimenticato, il brasiliano Nenè. «Tengo tuttavia a precisare – racconta Deiana a Move Magazine – che questo non è un romanzo sullo scudetto del Cagliari e che la vicenda di Nenè e di quella straordinaria squadra funge soltanto da sfondo. La storia si gioca su due piani temporali: il presente e la stagione 1969-70 nei suoi momenti salienti».

Ciò non toglie che quello scudetto fu un momento epocale per la Sardegna.
Fondamentale, direi. Ha avuto un significato e un valore enormi non solo dal punto di vista sportivo, ma anche e soprattutto sul piano sociale. Lo scudetto del Cagliari ha rappresentato il riscatto di un’isola e di un popolo interi. Fino ad allora, la Sardegna era considerata la terra dei banditi, dei pastori, della povertà, era veramente “isola”, fuori dal mondo. E così accade che il Cagliari riesce sorprendentemente a battere su un campo di calcio le potenze del nord e a far parlare della Sardegna. Effettivamente, da quel momento si è avviato uno sviluppo turistico ed economico che ha reso la Sardegna ciò che è oggi. Ed è stato un evento sportivo a fare da propulsore: ripensandoci, è molto particolare.

angelo deiana

Particolare come la lingua che si parla in Sardegna: cosa significa il titolo del romanzo?
A Diosa, in lingua sarda, ed è bene sempre ricordare che il sardo è una lingua e non un dialetto, significa Alla Dea ed è il titolo di una poesia a due voci – A Diosa e A Diosu – tra le più importanti e conosciute della tradizione sarda, in cui due amanti si scrivono. Da questa poesia è stata tratta una nota canzone, Non potho reposare, resa famosa da Andrea Parodi e dai Tazenda. Il titolo del mio romanzo richiama questa poesia-canzone e fa da filo conduttore: ogni capitolo è aperto da due versi della poesia, che è il collante e il sottofondo di tutta la storia e nel finale ha un ruolo chiave. Ma quel che conta, è che inquadra un’intera tradizione.

Una tradizione che senti molto tua.
Ho radici sarde e sono tifoso del Cagliari. Così ho ambientato il romanzo tra Viterbo e Ardauli, il paesino dei miei nonni e di mio padre. Un luogo per me mitico e caro, nel cuore della Sardegna, in provincia di Oristano. Viterbo e Ardauli sono i posti a cui sono più legato e che mi caratterizzano, perché i luoghi vanno sempre a influire su ciò che siamo. Se io sono questo, è perché sono un mix di Ardauli e Viterbo. Radici e destino sono i temi principali del libro. Da dove veniamo, dove siamo e dove andiamo.

In tutto questo si muove Damiano, il protagonista. Chi è?
È un giornalista di 34 anni, ovviamente precario, che lavora per un settimanale di approfondimento. Il direttore, conoscendo superficialmente le sue origini sarde, decide di mandarlo sull’isola per un reportage su alcuni paesi che nel giro di qualche anno, a causa dello spopolamento, rischiano di sparire. Tra questi c’è anche Ardauli: tra l’altro, lo studio su questi futuri borghi-fantasma esiste realmente. Damiano, in realtà, non sa nulla della Sardegna, perché il padre, per via di un trauma familiare, ha tagliato ogni ponte e non ha mai parlato con i figli delle proprie radici. Il direttore fa intendere a Damiano che questa è la sua grande occasione: se ne verrà fuori l’articolo della vita, finalmente sarà stabilizzato, dopo anni di precariato. Lui accetta e parte, senza sapere ancora che, per azione del destino (a cui lui, cinico, non crede minimamente) tutta la sua vita sta per assumere contorni diversi. E un nuovo senso.

La presentazione di lancio di “A Diosa. La leggenda di Nenè” al MAT di Viterbo.

Cosa rappresenta il personaggio di Damiano?
Damiano incarna anche la generazione dei precari, la mia generazione. Disincantata. Senza forti modelli politici. Una precarietà che condiziona praticamente tutto: stabilità economica, casa, famiglia. Il protagonista è in questa fase di passaggio, solo che non se ne rende conto, o non vuole: è come se la sua condizione gli permettesse di trascinare ancora un po’ la sua giovinezza, rimandando l’ingresso nell’età adulta, il matrimonio e tutte le responsabilità “da grandi”. È quando andrà effettivamente in Sardegna che tutto vacillerà e i dubbi prenderanno il sopravvento. Da quello che era iniziato come un viaggio di lavoro, Damiano finisce per scoprire un’intera vita di cui ignorava l’esistenza, conosce i parenti mai visti prima, visita il cimitero dei suoi avi. E, soprattutto, incontra una ragazza che funge da elemento di rottura di equilibri che forse non erano così solidi. Damiano perde tutto, ma ritrova qualcosa di molto più importante.

E qui entra in gioco la seconda parte del titolo del tuo romanzo, La leggenda di Nenè.
Damiano, in realtà, un minimo legame con la Sardegna ce l’ha: una vecchia foto incorniciata nello studio medico del padre. Non l’ha mai dimenticata. La squadra del Cagliari dello scudetto. Il Cagliari è il solo punto di contatto tra lui e la Sardegna. Da piccolo, in quella foto Damiano aveva trovato un supereroe: Nenè, l’unico giocatore di colore, quel calciatore con il nome così facile da pronunciare per un bambino. Uno dei protagonisti più leggendari di quell’impresa: Claudio Olinto de Carvalho, per tutti Nenè. Un personaggio circondato da un alone magico, ma anche una sorta di eroe tragico, perché è andato incontro a un destino di tristezza e sofferenza. Nel libro, Damiano apprende la sua storia dai racconti di Gavino, un amico di suo nonno con cui nel 1969-70 lavorava nel ristorante in cui i calciatori erano soliti andare a mangiare. Il mio romanzo vuole essere anche un modo per rendere omaggio a Nenè, a cinquant’anni dallo scudetto.

Come ti sei documentato sugli aneddoti di Nenè e di quel Cagliari?
Oltre alle conoscenze che già avevo come tifoso, nel maggio 2018 mi sono recato direttamente sul posto e ho incontrato alcuni giocatori di quel Cagliari: Adriano Reginato, Giuseppe Tomasini, Ricciotti Greatti, più Sandro Gamba che è stato il tutore legale di Nenè fino alla sua morte, avvenuta nel 2016. Mi hanno narrato aneddoti su aneddoti su Nenè. Ho scoperto alcune storie incredibili: ad esempio, Nenè ripeteva sempre degli strani rituali, come infilarsi e togliersi degli anelli in un ordine preciso. Era figlio di una sorta di guaritrice brasiliana, depositaria di credenze antiche come il mondo. Una figura esistente anche in Sardegna e nota come maialsa. Possiamo dire che c’è un aspetto magico che ricorre nella narrazione del romanzo, fortemente legato alla Sardegna e un po’ anche al Cagliari del 1970.

Angelo Deiana a Torino con Darwin Pastorin.

Quando hai avuto l’idea di scrivere il libro?
Parlavo con Fabio Stassi, scrittore importante e viterbese d’adozione, ed è rimasto molto affascinato da questa storia e dai contorni letterari dello scudetto del Cagliari. Così è subito nata l’idea di un romanzo. Lui ha scritto storie di sport, è esperto di Sudamerica, ed è venuta fuori la figura di Nenè. Se l’idea è nata in maniera fulminea, la realizzazione del libro invece ha richiesto circa due anni. Sicuramente non volevo fare due cose: scrivere un libro sul Cagliari e scrivere una biografia di Nenè. La mia intenzione, invece, era scrivere una storia che avesse a che fare con me, ma non una mia autobiografia, quindi ho cercato di diversificare vari aspetti tra me e Damiano, pur mantenendo alcune similitudini, su tutte l’aspetto generazionale.

Dopo il lancio nella tua Viterbo, sei reduce da una presentazione a Torino con Darwin Pastorin. Come sta andando la promozione?
Molto bene, i riscontri sono ottimi. Il libro, uscito a fine 2019, ha coronato un anno in cui ho potuto realizzare due sogni: scrivere e insegnare. Oltre ad aver pubblicato il mio romanzo d’esordio, ho iniziato infatti a lavorare come docente al Liceo Dalla Chiesa di Montefiascone. Prossimamente ho in programma una presentazione a Cagliari, nell’ambito delle celebrazioni per il cinquantenario dello scudetto del club rossoblù, di cui nel 2020 ricorre anche il centenario della fondazione. Parteciperanno alcuni ex calciatori di allora, che sono rimasti tutti molto legati tra loro. Una sorta di fratellanza, tanto che aiutarono Nenè a tornare a Cagliari, unico luogo in cui è stato felice, e gli sono stati vicino, anche economicamente, fino alla fine dei suoi giorni.

Destini che si compiono, quindi.
Riallacciandomi a quanto detto in precedenza, in A Diosa. La leggenda di Nenè le radici e il destino sono i temi fondamentali. L’incipit del libro è “Ci sono viaggi che sembrano destini“. Destino in spagnolo sta per “destinazione”, qualcosa a cui dobbiamo arrivare, che portiamo scritto dentro di noi. Damiano va in Sardegna e riscopre le sue origini, vivendo un profondo cambiamento e uscendone come un uomo diverso, come in un romanzo di formazione. E con il ruolo fondamentale dei sentimenti, che inevitabilmente influiscono in modo decisivo sulla nostra vita.

Francesco Mecucci