Intervista a Suranga D. Katugampala
15 Giugno 2017Regista originario dello Sri Lanka, appena trentenne ma con le idee molto chiare, Suranga Deshapriya Katugampala sarà ospite della rassegna “Il mondo in un cortile”, organizzata dall’Associazione Il Pettirosso di Terni.
Giovedì 15 giugno, presso il cortile di Via Premuda a Città Giardino, sarà proiettato il suo film “Per un figlio” e noi abbiamo avuto il piacere di intervistarlo in anteprima.
Come sei arrivato alla regia? Raccontaci il tuo percorso.
Inizio dicendo che la regia e il cinema sono qualcosa con cui poter contribuire ad un immaginario. Sono cresciuto ascoltando le storie delle persone intorno a me. Erano storie semplici che parlavano di lavoro, di famiglia, di ricordi ed esperienze; servivano per passare il tempo e creavano, davanti ai miei occhi, una realtà tangibile.
Ecco, secondo me, il cinema è capace di trasformare queste storie in realtà. Così ho cominciato a mischiare le storie fra loro per costruire altre possibili realtà.
Del cinema, fino ad ora, ho capito solo qualche briciola: tutt’ora sto cercando di capire.
Comunque ho iniziato presto. Avevo 16 anni quando, durante una vacanza in Sri Lanka, ho preso per la prima volta una macchina in mano. Mi ero preparato ma fu un’esperienza fallimentare, anche se divertente!
Però quell’esperienza mi ha dato tanto: da lì in poi ho realizzato alcuni cortometraggi, poi mi sono appassionato al documentario, per la sobrietà, la semplicità e la voglia di “stare nel reale” che può esprimere.
Il cinema non mi sembrava la strada giusta all’inizio; ora, invece, sto tentando di unire due generi, ovvero la fiction e il documentario.
Il tuo film parla del rapporto fra una madre, venuta in Italia per lavoro dallo Sri Lanka, e suo figlio, cresciuto in Italia con un altro schema di valori di riferimento. È una storia universale oppure è una storia del tutto legata alla condizione del migrante?
Decisamente “Per un figlio” è una storia universale. Tutti abbiamo una madre, tutti siamo figli. L’immedesimazione risulta inevitabile.
Però, quella che racconto è un’universalità che parte da un altro tipo di racconto: io non amo la parola “integrazione”, così poco definita e così disperatamente europea, preferisco parlare di convivenza. Sunita, la protagonista femminile, non cerca di integrarsi. Piuttosto cerca un modo per vivere in un paese estraneo e con un figlio adolescente che non rispecchia i suoi canoni.
Quanto hai raccontato del film a tua madre? Come è stato per lei assistere alla proiezione del film?
Le ho raccontato pochissimo! Intanto il mio lavoro non ha orari e poi cozza decisamente contro le apettative dei miei genitori. Non gliene ho parlato, quindi. Però ho osservato molto: sia lei che le madri dei miei amici.
In molti mi hanno fatto questa domanda, pensando che dopo la visione del film il mio rapporto con lei avrebbe trovato una sorta di risoluzione. Invece, in qualche modo, mia madre si è sentita più vulnerabile. Comunque sono contento di aver creato un ponte sul quale genitori e figli possono trovare un modo di camminare insieme.
Qual era il tuo obiettivo quando hai deciso di realizzare questo film?
Mi ero messo in testa che lo avrei girato entro l’ottobre del 2015 e così è stato.
In più volevo raccontare e stare con i personaggi e gli interpreti: il cinema che mi piace e non è moralistico ma racconta la quotidianità. E se quest’ultima permette una lettura o un messaggio, ben vengano ma non ho da dire altro che quello che esprimono i personaggi, senza alcun commento artificioso alla realtà.
A quasi un anno di distanza dalla prima proiezione, come ti sembra il tuo film?
Mi sembra un piccolo miracolo! Quando abbiamo cominciato a lavorarci eravamo un piccolo gruppo di persone con obiettivi molto pratici: dovevamo fare le riprese e basta!
Non pensavamo al lavoro da fare dopo, la post-produzione o il montaggio oppure la distribuzione sono stati affrontati successivamente.
Ogni volta che lo vedo proiettato, comunque, sono sorpreso che il film sia su un grande schermo e non in un dvd o persino nel proiettore di casa mia: sono orgoglioso che il film abbia trovato una sua strada.
Quali sorprese, se ce ne sono state, ti regalato la critica o il pubblico in sala?
Le sorprese sono venute principalmente dal pubblico, soprattutto nel momento in cui dovevamo distribuirlo: volevamo che in sala ci fossero dei cittadini srilankesi perchè volevamo creare “partecipazione”. Ci siamo riusciti grazie alla collaborazione di alcune associazioni.
Ogni sera, alla fine della proieizione, facevamo girare un microfono in sala e raccoglievamo commenti molto diversi fra loro. I più esperti non lo riconoscevano nemmeno come un vero e proprio film: mancava di dialoghi, d una forte narrazione di una colonna sonora. Altri non sapevano come reagire, qualcuno diceva che non era riuscito e che era “debole”.
Altri ancora hanno reagito dicendo che è un film adatto solo agli adulti per via di un paio di scene in cui si intravede un seno nudo per pochi secondi.
Cosa non è stato “visto”, secondo te, nel tuo film?
Questa è una domanda importante! Al di là della storia in sé e del lavoro che viene visto in sala, mi sarebbe piaciuto che si fosse parlato di più di quello che vuol dire “portare altri spettatori al cinema”. Cioè, per noi è sempre stato fondamentale che in sala ci fossero anche srilankesi, perché di solito non vanno a vedere il cinema italiano e non frequentano le sale italiane. Invece noi volevamo, attraverso le varie proiezioni, fare del nostro film un contributo alla partecipazione; fare in modo che il cinema divenisse un veicolo di condivisione. In questo siamo riusciti con la collaborazione di varie associazioni sul territorio e di qualcuno che, come noi, ritiene che guardare un film insieme sia un’esperienza che va oltre il semplice intrattenimento ma sia un vero momento di socialità e scambio.
C’è una domanda che non ti è stata fatta e a cui ti sarebbe piaciuto rispondere?
Prima di distribuire il film, abbiamo organizzato una conferenza stampa a Roma e una a Milano, ma gli srilankesi non leggono i giornali italiani. Allora sono andato in Sri Lanka e ho tenuto una presentazione: questo ha funzionato e la gente ne ha cominciato a parlare.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Stiamo (il plurale è d’obbligo nel mio lavoro, senza le persone che lavorano con me non ci sarebbe alcun progetto) lavorando ad un film da girare in Sri Lanka. Anche questo lavoro è focalizzato sulle connessioni fra persone, quelle che vivo tutti i giorni. Il mio non è un cinema esotico né filosofico. Io racconto la realtà attraverso uno strumento e parlo di dignità delle persone.
Intervista a cura di Francesca Michelini
Foto di Francesco Mussida