I patrimoni dell’umanità UNESCO nella Tuscia
13 Ottobre 2017Se gli Stati Uniti vogliono uscire dall’UNESCO, come reso noto dall’ennesimo e veemente annuncio a sorpresa del presidente Donald Trump, la provincia di Viterbo ci sta entrando a ritmo incalzante.
Sono infatti diventati ben 4, nel giro di poco più di un decennio, i siti della Tuscia che figurano a pieno titolo sia nella Lista dei patrimoni mondiali dell’umanità (World Heritage List) sia negli speciali elenchi dei patrimoni culturali immateriali (Intangible Cultural Heritage Lists) dedicati a tradizioni, espressioni orali, artigianato, rituali ecc. Sono queste liste il motivo per cui si parla così spesso dell’UNESCO: farne parte è sempre un motivo di vanto per la comunità locale.
L’UNESCO (United Nations Educational Scientific and Cultural Organization) ha sede a Parigi ed è l’agenzia dell’ONU che si occupa di promuovere la pace e la comprensione tra le nazioni attraverso l’istruzione, la scienza, la cultura, la comunicazione e l’informazione. Di fatto, è l’organizzazione mondiale della cultura.
Sono poco più di mille, in tutto il mondo, i siti patrimonio mondiale dell’umanità, e l’Italia ne vanta 53, più di ogni altro stato. I patrimoni immateriali sono quasi 300 in totale, di cui 6 italiani.
Con i suoi 4 patrimoni ottenuti in un arco temporale relativamente breve, perché le procedure per essere ammessi alle liste UNESCO possono durare anni, il Viterbese sta finalmente aumentando la consapevolezza del suo ingente patrimonio storico-artistico e naturale, nella speranza che tutto ciò si traduca in un concreto sviluppo turistico-culturale.
Vediamo quali sono queste realtà e diamo un’occhiata anche alle candidature in atto.
La Necropoli etrusca di Tarquinia (2004)
La Necropoli etrusca di Tarquinia è stato il primo sito della provincia di Viterbo a ottenere il prestigioso riconoscimento UNESCO. La candidatura a patrimonio mondiale dell’umanità fu presentata congiuntamente alla Necropoli di Cerveteri, in provincia di Roma, e l’ammissione avvenne nel 2004 con la definizione ufficiale Necropoli etrusche di Cerveteri e Tarquinia.
I due vasti complessi cimiteriali etruschi di Monterozzi a Tarquinia e della Banditaccia a Cerveteri denotano i diversi tipi di sepoltura dal IX al I secolo a.C. e costituiscono la principale testimonianza dell’evoluzione della cultura etrusca, la prima vera civiltà urbana nel Mediterraneo settentrionale.
Mentre quella di Cerveteri si contraddistingue per le monumentali tombe a tumulo, la Necropoli tarquiniese è celebre in tutto il mondo per le straordinarie pitture: sono circa 200 le tombe dipinte, su oltre 6000 sepolture totali dell’area, documenti di inestimabile valore per conoscere i vari aspetti della civiltà degli Etruschi.
La Macchina di Santa Rosa di Viterbo (2013)
Il sorprendente ingresso della Macchina di Santa Rosa di Viterbo tra i patrimoni immateriali dell’umanità, come parte della Rete delle grandi macchine a spalla – ne fanno parte anche la Festa dei Gigli di Nola (NA), la Varia di Palmi (RC) e la Faradda di li Candareri di Sassari – è stato salutato come una riscossa per una manifestazione spesso tacciata di provincialismo e chiusura all’esterno.
La candidatura si è sviluppata lungo un arco temporale di otto anni, dai primi passi del 2005 fino alla sorprendente ammissione del 2013 durante la sessione UNESCO svoltasi a Baku, in Azerbaigian. Della Rete faceva parte inizialmente anche la città di Gubbio (PG) con la sua Festa dei Ceri.
Dedicata alla patrona di Viterbo, vissuta nel XIII secolo, la Macchina di Santa Rosa consiste in una torre illuminata da fiaccole e luci elettriche, alta quasi trenta metri e pesante cinque tonnellate, che la sera del 3 settembre di ogni anno viene sollevata e portata a spalla da un centinaio di robusti uomini detti “Facchini” lungo un percorso di poco più di un chilometro, lungo le vie, talvolta molto strette, e le piazze del centro storico, tra ali di folla in delirio o con il fiato sospeso. (photo: www.visit.viterbo.it)
La faggeta di Soriano nel Cimino (2017)
La denominazione ufficiale è Foresta di Monte Cimino, ma è principalmente nota come la Faggeta di Soriano nel Cimino e dal 2017 fa parte del patrimoni mondiali dell’umanità UNESCO nell’ambito delle Foreste primordiali dei faggi dei Carpazi e di altre regioni d’Europa, siti di eccezionale valore naturalistico e ambientale.
Si tratta di un patrimonio condiviso tra Albania, Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Germania, Italia, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna e Ucraina, riconosciuto fin dal 2007 e progressivamente ampliato. La faggeta sorianese è stata ammessa insieme a quella di Monte Raschio a Oriolo Romano.
La Faggeta del Cimino, con una estensione di circa 50 ettari, è tra le più maestose ed imponenti dell’Italia centrale. La sommità dell’altura fu occupata da un importante abitato della tarda età del bronzo, di cui si conserva quasi interamente la vasta fortificazione perimetrale, risalente all’età del bronzo finale (1150 a.C. circa). Dalla sommità del monte la vista, seppur ostacolata dalla vegetazione arborea, spazia sulla valle del Tevere e sui borghi circostanti.
La Faggeta di Monte Raschio a Oriolo Romano (2017)
Entrata a braccetto con quella di Soriano nel Cimino, anche la Faggeta di Monte Raschio è stata ammessa nei patrimoni UNESCO all’interno delle Foreste primordiali dei faggi dei Carpazi e di altre regioni d’Europa.
La foresta oriolese, compresa nel Parco naturale regionale del complesso lacuale di Bracciano-Martignano, a cavallo tra le province di Viterbo e Roma, è un bellissimo esempio di faggeta relitta, a testimonianza dei boschi di faggio che qualche migliaio di anni fa popolavano quote molto più basse delle attuali.
Infatti questa faggeta ha la caratteristica di crescere a soli 450 metri di altezza; questo è un fatto raro visto che, normalmente, i faggi si trovano a quote più alte, di montagna. Probabilmente la sua presenza è resa possibile dal fatto che nella zona si viene a creare un microclima particolare di umidità e frescura, favorito dalle acque sotterranee e dalle correnti umide provenienti dal vicino Lago di Bracciano.
I siti della Tuscia candidati a patrimonio UNESCO
Affinché un sito possa essere inserito all’interno della Lista dei patrimonio mondiali dell’umanità, si deve seguire un lungo iter che inizia con la redazione della cosiddetta tentative list: ogni stato redige una lista contenente i siti che vuole candidare a patrimonio. La presenza in tale lista è obbligatoria per essere presi in considerazione dal comitato UNESCO, che chiede agli stati membri di aggiornarla su base decennale. Successivamente ogni stato sceglie quali di questi luoghi inserire nella lista di nomina, da cui l’annuale Convenzione sceglierà i siti che entreranno a far parte dei Patrimoni dell’Umanità. Ogni sito dichiarato Patrimonio dell’Umanità viene automaticamente cancellato dalla tentative list.
Le ville della nobiltà pontificia nel Lazio (dal 2006)
La candidatura è attiva dal giugno 2006, ma non è mai arrivata a conclusione. In questa candidatura congiunta, compaiono ben 4 beni della Tuscia: Villa Lante a Bagnaia di Viterbo, il Sacro Bosco di Bomarzo (noto come Parco dei Mostri), il Palazzo Farnese di Caprarola e il Palazzo Giustiniani di Bassano Romano. Gli altri siti candidati sono una decina di storiche ville sui colli tuscolani, a sud di Roma.
Le campagne laziali sono disseminate da un certo numero di ville suburbane, costruite a partire dalla metà del ‘500 per alti ecclesiastici e membri dell’aristocrazia collegati alla corte papale romana. Questi siti si sono sviluppati soprattutto nella zona di Viterbo e sui colli tuscolani e portano la firma di noti architetti e abbellite dalle pitture dell’epoca.
Il paesaggio culturale di Civita di Bagnoregio (dal 2017)
Quella di Civita di Bagnoregio è la candidatura più recente a patrimonio UNESCO, sull’onda dell’enorme successo turistico che la “città che muore” sta riscuotendo negli ultimi anni. Se l’impegno si mantiene costante da parte di tutti i soggetti interessati, il riconoscimento per il borgo medioevale visitato da turisti di tutto il mondo potrebbe essere una naturale conseguenza.
“Ci sono luoghi – si legge nella descrizione ufficiale – in cui l’interazione tra fattori endogeni e agenti morfogenetici costruisce paesaggi incantevoli, sospesi nella delicata condizione tra l’essere una risorsa ambientale o un azzardo della natura. Quando posti come questi sono integrati dalla presenza umana, l’esito finale è assolutamente unico“.
Francesco Mecucci