Quante volte abbiamo avuto modo di incontrare la parola solitudine? Moltissime: nelle canzoni, nelle esperienze personali, in quelle delle altre persone, nelle esperienze sociali. Soprattutto negli ultimi due anni.
Thomas Mann diceva che “la solitudine fa maturare l’originalità, la bellezza strana e inquietante, la poesia. Ma genera anche il contrario, lo sproporzionato, l’assurdo e l’illecito”. In questa frase incontriamo il “doppio” che racchiude questo termine e le esperienze che porta con sé. Una solitudine sana, positiva, che va ricercata. Per ritrovare se stessi, per riflettere, per produrre, per creare. E una solitudine legata ad una condizione di profondo malessere. Quest’ultima purtroppo oggi diffusa in ogni fascia d’età. Dai bambini, agli adolescenti, agli adulti, agli anziani.
Essere soli e sentirsi soli sono condizioni molto diverse tra loro. Essere soli è una condizione oggettiva di solitudine. Sentirsi soli coinvolge la percezione soggettiva del proprio senso di solitudine. Ci si può sentire soli in mezzo a tanta gente, in famiglia, in classe e perfino nel gruppo di amici. Non sentirsi compresi, ascoltati, accettati. Non trovare la propria collocazione nel mondo, spesso diventa il motivo del ritiro, dello stare solo con se stessi.
Solitudine e indipendenza: la teoria di Bauman
Zygmunt Bauman, sociologo, filosofo e accademico polacco che ha affrontato il concetto di modernità liquida e solitudine del cittadino globale, parla di una solitudine che diventa indipendenza, dal momento che i legami tra le persone si sono “liquefatti”. Sono diventati effimeri, fugaci e precari. La solitudine di cui lui parla è quella relativa al ritrovare se stessi, allo stare bene da soli perché non esiste più la felicità. Oggi, secondo l’autore, il principio del piacere regna sovrano, e al posto della felicità ci sono incertezza, insicurezza, ansia, angoscia.
Il paradosso della felicità per Bauman è dovuto al fatto che negli ultimi decenni gli individui hanno imparato, sempre più, a essere indipendenti, facendo di tutto per star bene da soli, per star bene con se stessi ed essere felici. Ma, secondo il sociologo, questa sarebbe la direzione sbagliata. Le persone che sanno essere indipendenti stanno perdendo piano piano la capacità di convivere con gli altri, perché hanno perso l’abilità a socializzare.
Sostiene Bauman ne La teoria svedese dell’amore: “Più sei indipendente, meno sei in grado di controllare la tua indipendenza e rimpiazzarla con una piacevole interdipendenza“. D’altra parte è comprensibile, relazionarsi con le persone è terribilmente complicato; per farlo bisogna essere in grado di accettare compromessi, di andare incontro alle esigenze altrui, di avere pazienza. È complicato, certo, ma è dalle relazioni che nasce la felicità, non dall’indipendenza.
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