5 luglio 1994. Boston è lontana vista da un bar di Via Genova a Viterbo, strapieno di amici. L’Italia sta in America a giocare il mondiale, un mondiale iniziato male e ora ai quarti di finale, agguantati per una botta di cul de Sac, Arrigo Sac. Birra e bestemmie, anche oggi, contro la Nigeria: segna Amunike, e questi corrono come matti.
“Ci buttano fuori”, è la litania dei soliti gufi. E giù, un altro campari gin per non sentire le voci. “Baggio è uno scandalo: non rientra, non salta l’uomo…” Entra Zola, la piccola speranza sarda, ma quell’arbitro messicano cattivo lo caccia subito. “E’ finita, siamo fuori“.
“Colpa di Baggio”, dice l’anticodino del bar. Tutti zitti: prima lo guardavano storto, ma più scorrono i minuti e più sembra che abbia una ragione fottuta. Senza Zola e con l’ectoplasma buddista, l’Italia gioca praticamente in nove. Due minuti alla fine, tempo per un altro campari truccato.
Mussi recupera, passa a Baggio solissimo, che infila Rufai: 1-1, siamo ancora dentro il mondiale e fuori a festeggiare. Quello che ce l’aveva con Roby però non s’azzittisce, e tutto l’overtime a dire “Guardatelo, non corre, non tira, leva sempre la gamba”. E noi muti, a sopportare, a pregare.Finché Benarrivo non viene falciato, è rigore di compensazione. Baggio tira e fa gol. L’Italia è in semifinale: il cappottone all’unico italiano che odiava Roby è doveroso, nella sera di periferia, sognando California, la finale, e magari un bel linciaggio propiziatorio a chi ha osato criticare il Divino nostro.
Andrea Arena