Adesso che l’hanno piazzato in una di quelle classifiche senza senso (“Il giocatore più cattivo della storia”, e complimenti per l’originalità), Robin Friday è diventato persino famoso. Puah. Che schifo. Che tristezza. Eppure, Robin, nome da ladro onesto, faccia da inglese povero, chioma da ribelle, ha fatto una carriera di merda. Squadrette nelle serie minori, quando gli anni Settanta strozzavano l’Isola che fu un Impero.
Basettone, prima dei Sex Pistols. Capelli lunghi, segno di libertà. Neanche era un centravanti, questo Friday che alla fine vuol dire venerdì: partiva largo, senza guinzaglio, e poi inventava. Segnava da fuori – come nessun inglese sapeva fare – oppure partiva e salutava, come Gazza prima di Gazza. Ma è sempre rimasto ai margini dello show, stadi piccoli, tante botte, gloria nulla. Dice che una volta cacò dentro la borsa di un difensore cattivo che lo marcava. Dice che un’altra uscì dal campo, andò al pub, e poi tornò gonfio di birra e di invenzioni.
Alzava le dita a V per mandare a quel paese il nemico. Litigava, fuggiva, beveva, usava pure la robaccia. Ma con la maglia a righine orizzontali del Reading era uno spettacolo, l’immagine di un tempo. Lo trovarono stecchito a casa sua, nella Londra perduta: aveva esagerato con le sostanze, il cuore era saltato. Aveva 38 anni, Robin Friday: tutto sommato, l’età giusta per andare a cercare altri posti.
Andrea Arena