Perché all’epoca il calcio italiano faceva anche giocatori così. Tipo Gianni Alessio Bui, centravanti di centimetri (185) ma pure di piedi buoni, di modi pregiati, emiliano d’Appennino, di Serramazzoni.
Uno che ha girato mezza Italia, sempre amatissimo, e in piazze magari secondari, ma che s’innamorano difficile, e solo di quelli giusti: Lazio, Ferrara, Verona, Torino, Catanzaro. Uno scoperto per caso, mentre giocava dopo il lavoro su un campetto di periferia. Bello da vedere, efficace, corretto, e perciò massacrato senza pietà dai difensori che giravano allora. Eppure ci stava. Si rialzava sempre.
Al Toro sfiorò pure lo scudetto, secondo dopo la Juventus: “Se Gesù giocasse a pallone sarebbe Gianni Bui”, gli scrissero i tifosi quando gli striscioni erano ancora buoni. Col Catanzaro arrivò in finale di Coppa Italia. Dipingeva, invece di giocare a carte, dipinge ancora. Vivere il calcio così doveva essere una cosa meravigliosa, allora, e ancora di più oggi. Senza apparire, senza essere diventato opinionista, seconda voce, testimonial, ospite di qualche trasmissione tristissima.