Oreste Bolmida faceva il capostazione a Torino Porta Nuova. Era quello che con la sua tromba faceva partire i treni: uno squillo lungo che rimbombava tra i binari e spezzava la nebbia. Con lo stesso squillo, Oreste la domenica accendeva altre locomotive, locomotive umane. Erano gli anni del Grande Torino, la squadra più forte che l’Italia avesse visto mai.
Peccato che certe volte anche i Mazzola e i Loik, i Menti e i Gabetto se la prendessero comoda, dimenticandosi di giocare il primo tempo. Così, a inizio ripresa, la tromba di Oreste suonava per dar loro la sveglia: Valentino si rimboccava le maniche e iniziava il quarto d’ora granata, quindici minuti di incredibile foga agonistica per rimontare e piegare qualsiasi avversario.
Così al Filadelfia il Toro dei cinque scudetti in fila non conobbe mai sconfitta. La tromba di Bolmida suonò un’ultima volta, non più per indicare una partenza, ma un capolinea: maggio 1949, il corteo funebre attraversa la città per l’estremo saluto alla squadra perita a Superga. Squilli di lutto, tributo agli eroi.