Fu come un soffio, un sibilo, un allarme impazzito, un riverbero di paure del passato. Prima c’era solo un cielo livido, un tetto di nuvole massiccio ma innocuo, poi quel mutamento imprevisto, violento, gli spruzzi di pioggia erano l’elemento meno minaccioso. Non spaventavano neppure i bagliori dei lampi o il forsennato rombo del tuono.
Era altro, era uno stridere delle ossa, una tensione dei nervi, un dolore al basso ventre, come se tutti comprendessero che stava succedendo qualcosa che andava oltre una semplice tempesta. Cosimo era stato in Afghanistan, soldato di professione, e aveva imparato a non spaventarsi mai. O, meglio, a maneggiare la paura, convertendola in stimolante, una torcia che illuminava i labirinti intricati, le fasi in cui non sapevi cosa fare e sapevi solo che stavi rischiando la vita. Forse fu anche perché sapeva orientare la paura che non fu scoperto, neppure dai commilitoni, neppure dall’amico più caro che era in Afghanistan con lui, quando prese una ragazza in un villaggio e la costrinse ad aprire le gambe. «Sarò punito un giorno per tutto questo» si disse al ritorno in Italia.
Decise di lasciare l’esercito. Ora che sente il sibilo, i fendenti di una pioggia che nessuno ombrello può fermare, vede l’assalto illuminato dai lampi, non ha paura, ma pensa: «Ecco, il momento è arrivato». Alina si è fermata appena in tempo con lo scooter sotto un cavalcavia, ma il furore della tempesta è tale da raggiungerla anche dove dovrebbe sentirsi protetta. «Farò tardi e la signora si arrabbierà di nuovo». Odia il bambino che deve seguire, ora dopo ora, giorno dopo giorno, lo odia perché è poco più di bambolotto senza vita e sgraziato, che emette versi incomprensibili, mugugni, prigioniero sulla carrozzina da cui non si alzerà mai. I primi giorni provò tenerezza, compassione e lo assistette con amore. Poi, qualcosa ha ceduto, come una piccola crepa che causa un crollo. Sarà che dalla Romania la madre le ha inviato sul telefonino le foto del fratello minore che cresce e che si sta dimenticando di lei. Un giorno, mentre il bambino urlava frasi senza senso e sputava, Alina ha preso un asciugamano e l’ha colpito al volto, per tre, quattro, cinque volte. Si diceva che doveva smettere ma non ci riusciva.
La madre, al suo ritorno, non si accorse di nulla, ma quella notte Alina non riuscì a dormire. «Sarò punita un giorno per tutto questo» pensò. Ora il livello dell’acqua sta crescendo, nella conca sotto il cavalcavia, un automobilista urla ad Alina: «Se ne vada, presto si allagherà, è pericoloso». Alina non lo sente e pensa: «Ecco, il momento è arrivato». Giampiero sta girando in circolo con l’auto nel quartiere, ogni volta che arriva sotto casa tira dritto, non riesce a respirare. Un tempo, il ritorno a casa – una mano sulla spalla di Patrizia, la moglie, «che ci mangiamo stasera?», il solito scherzo ai due figli a cui faceva il solletico causando le loro proteste – era una pagina lucente della sua vita.
Poi, sono seguiti il buio, l’ansia dentro, il respiro che manca, non sopporta più il rituale, gli stessi gesti, la moglie imbolsita e prevedibile, i figli che avverte come un corpo estraneo nella sua vita. «Cosa vogliono da me?» si chiese mentre calcolava i giorni che mancavano al suo prossimo compleanno, quanti anni ottimisticamente ancora da vivere, sottraendo quelli ammaccati da una inutile vecchiaia. Quasi per caso una volta ha cominciato a cercare su internet, ha trovato ragazze da portare nel magazzino del negozio, giovani, sempre più giovani, troppo giovani, basta pagare. «Sarò punito un giorno per tutto questo» si disse mentre una quindicenne si stava sbottonando i jeans.
Ora che i tergicristalli della Golf sono stuzzicadenti umiliati dalle raffiche di acqua, ora che continua a guidare ma non vede nulla e potrebbe finire ovunque, mentre il vento solleva l’auto, pensa: «Ecco, il momento è arrivato». Cosimo, l’ex soldato, sfida la tempesta, cammina contro il vento e l’acqua, come se fossero degli idranti a sparargliela addosso. Vede una ragazza, aggrappata a uno scooter, sotto il cavalcavia, non urla, è immobile. Eppure l’acqua è già arrivata al busto, tra un po’ affogherà se non prova a fuggire. Cosimo vede nel suo viso quello della ragazza afghana, corre sotto il cavalcavia, afferra per le braccia Alina, la costringe a lasciare lo scooter, la scuote, la trascina via, ma l’acqua sale, stanno perdendo le forze. Giampiero, quando ormai i tergicristalli sono sconfitti, guida la Golf verso il nulla e finisce contro un palo. Scende, sente delle urla, vede Cosimo che annaspa, in trappola insieme ad Alina. Corre, «vi aiuto, vi aiuto», afferra una mano di Cosimo, tira mentre lui sorregge Alina, ma un’onda li travolge tutti e tre e ora sono sotto, non respirano, vedono solo acqua sporca, un gatto morto, e pensano: «Ecco, il momento è arrivato». Poi il sibilo termina, non piove più, l’acqua si ritira. Si ritrovano a terra, uno accanto all’altro, su un marciapiede, a fissare il cielo. Il sole.