Entrambi non avevamo fratelli, per cui al liceo diventammo inseparabili. Ci sedemmo per caso nello stesso banco e per cinque anni non ci separammo più. Leo era più alto di me, più brillante, risultava da subito più simpatico. Io ero più bello e andavo meglio a scuola.
Trascorrevamo i pomeriggi a studiare insieme e per i nostri genitori diventò normale vederci in giro nelle rispettive case. Io cominciai prima a fare sesso con le ragazze, ma senza una relazione fissa. All’inizio dell’ultimo anno invece Leo s’innamorò di una più giovane. Si fidanzarono, Leo mi raccontava quanto fosse intensa quella passione, quanto fosse certo che era la donna della sua vita, con cui si sarebbe sposato e avrebbe avuto dei figli.
Prima della maturità però lei lo lasciò e Leo cadde in un vortice di tristezza. Per tutta l’estate ascoltai i suoi sfoghi, tentai di consolarlo, di scuoterlo. Ma fu allora che per la prima volta sentii la fitta. Dentro. Invidia. Invidiavo la malinconia di Leo per l’amore finito, l’illusione giovanile spezzata, la rosa recisa e stronzate simili. L’avrebbe ricordata come la storia più importante dei suoi 18 anni. Io cosa avrei ricordato? Nulla, per me le ragazze erano solo l’oggetto del piacere, il sesso un gioco, quando terminava pensavo solo al modo più rapido per andarmene. Ma non si deve pensare che quella fitta fosse solo una sensazione, qualcosa di puramente psicologico. Era dolore concreto. Invidia.
Vennero i giorni dell’università. Leo e io ci iscrivemmo a economia e commercio. Cominciammo a frequentare le lezioni insieme e rapidamente Leo si fece nuovi amici, era molto più simpatico e socievole di me, aperto al mondo, sinceramente interessato agli altri e questo lo rendeva molto popolare. Leo non mi escludeva, anzi mi presentava ai nuovi amici, tentava di coinvolgermi, mi invitava a uscire tutti insieme. Qualche volta accettai, ma anche se nessuno se ne accorse non andò bene. Mi sentivo a disagio, quasi arrabbiato. Gli altri erano lì per Leo, non per me. Invidia. Sentii di nuovo la fitta e per liberarmene smisi di parlare a Leo. Dall’oggi al domani, senza una spiegazione non risposi più alle sue telefonate, replicavo con monosillabi quando tentava di parlarmi a lezione.
Cambiai facoltà e città. Fui anche accettato alla scuola sperimentale di cinematografia e oggi sono uno dei registi più apprezzati del cinema italiano. Quando la mia vita si divise da quella di Leo, provai una sensazione strana: per cinque anni ogni giorno lo avevo incontrato e all’improvviso non c’era più. Fu una scelta irrazionale ma non potei farne a meno. Anche se abitavo a Roma e non avevo più rivolto la parola a Leo, tuttavia continuavo a seguire lo sviluppo della sua vita, grazie ai racconti di amici comuni o le tracce che lasciava su Facebook. Dopo il mio terzo film, fui invitato negli Stati Uniti e mi fidanzai con Milly, una modella mulatta con cui ebbi un figlio. Con i soldi del quarto film, acquistai una villa in California. Devo ammetterlo, stavo bene. Non ero felice, ovvio, però avevo un equilibrio.
Smisi di pensare a Leo, fino a quando, navigando su internet, tornai alla sua pagina Facebook quasi senza volerlo. C’erano le foto del suo matrimonio, si era sposato con una certa Cinzia che non conoscevo, lui lavorava in comune, come funzionario. Vidi le foto della loro luna di miele in Australia, leggevo i commenti di Cinzia, ingenui e sorpresi da qualsiasi banalità. Poi le immagini di pizzate con i colleghi, settimane bianche, nascita del primo figlio. Ero rapito dall’iPad mentre Milly, con il suo corpo scolpito e perfino migliorato, nuotava nella piscina, mi arrivò in mail il file con la mia nuova sceneggiatura, una produzione da 100 milioni di dollari. Non servì a nulla: avvertii di nuovo la fitta, più dolorosa del passato. Invidiavo la normalità di Leo, al lavoro in bicicletta, gli scherzi e le meschinità dei colleghi, la domenica al parco con la moglie e il figlio, la ricerca del volo low cost per un fine settimana a Barcellona, una sera a settimana in pizzeria, i film in tv, chissà anche un’amante. Invidia.
Durante le riprese del nuovo film, di notte nella suite dell’hotel, trascorrevo le ore a seguire su Facebook la vita di Leo. Una grande notizia, annunciava. Aveva deciso di lasciare il comune, avevano aperto un agriturismo con i risparmi. La fitta si fece ancora più insopportabile, invidiai il suo coraggio, la complicità della moglie con cui condivideva quella avventura. Invidia.
Un anno dopo tornai in Italia, andai a cercare Leo, ma l’agriturismo era chiuso. Mi fermai al bar del paese a chiedere informazioni. Il barista scosse il capo e mi spiegò: «Non sa nulla? L’agriturismo si è rivelato un fallimento. Un brutta storia, lei se ne è andata con il bambino, lui si è buttato dalla rupe, oltre la piazza. Mi dispiace». Mi dovetti sedere. La fitta. Che fine drammatica, intensa, che sensazioni forti deve avere provato Leo, quanto orgoglio in quel suicidio, io non ne sarei mai capace. Invidia.