“Le parole inutili”, un racconto di Mauro Evangelisti

1 Dicembre 2016

Laura è bellissima, gli occhi celesti che brillano, il corpo nudo. Si è svegliata da poco, riconcilia con la vita. Ma Laura parla. Parla molto. Non smette quando Marco accenna uno sbadiglio.

Lei è un flusso continuo di argomenti a caso e collegamenti misteriosi, dell’esame di diritto commerciale che non supererà mai ai malanni della madre, dall’ultima notizia di gossip ai politici che girano con l’auto blu mentre la gente muore di fame. Marco vorrebbe risponderle che: a dimostrazione che l’università non misura l’intelligenza, lei ha tutti 30; sua madre, anche con i malanni, è molto più simpatica di lei; è la terza volta che gli racconta quella notizia di gossip; la gente morirà di fame, ma non la sua famiglia che possiede mezza città.

Marco vorrebbe dirle almeno una di queste cose, ma lascia perdere, sarebbe come alimentare discussioni infinite e sterili, che pregiudicherebbero l’unica ragione per cui sta con Laura: il sesso. Anzi, c’è un altro motivo: la paura di stare solo. Se solo Laura tacesse. Tre ore dopo Marco è alla riunione della radio sul nuovo palinsesto. è il responsabile della raccolta pubblicitaria, ascolta con pazienza le battute scontate del direttore; s’impone di non prendere lo smartphone per distrarsi su qualche sito sportivo perché sarebbe scortese; uno dopo l’altro, i responsabili dei vari servizi parlano, parlano, parlano, solo per giustificare la loro esistenza. Lui stesso quando prende la parola – non farlo sarebbe inaccettabile – si accorge di tirare inutilmente per le lunghe la sua analisi. Deve parlare quanto gli altri. Avrebbe potuto dire le stesse cose in un decimo del tempo. Tutta la riunione, inconcludente, avrebbe potuto esprimere i pochi contenuti emersi, in una decina di minuti. Hanno parlato per due ore. Il direttore esclama «ora si va tutti a pranzo, c’è un posto nuovo che dovete provare».

Nessuno rifiuta, Marco vorrebbe trovare una scusa, ma non ha più energie. Da venti minuti sono seduti su delle scomode panche minimaliste, il cameriere non ha ancora preso le ordinazioni, il direttore racconta episodi della sua vita professionale inutilmente arricchiti da volgarità. Marco vorrebbe essere ovunque ma non lì. Se solo gli lasciassero fare il suo lavoro, in cui è bravo, senza il contorno inutile. Quando torna a casa, lo ferma una vicina, lo tiene prigioniero parlandogli delle stranezze dell’inquilino del primo piano, Marco fa sì con il capo, poi fugge nel suo appartamento. Chiude la porta e vede che Laura non è rientrata, ricorda che gli aveva spiegato che avrebbe dormito dai suoi. Si siede, si toglie le scarpe, accende la tv, c’è un documentario sugli orsi bianchi, ma toglie il volume. Il silenzio.

È in quel momento che arriva un bip dallo smartphone, una notifica di Facebook. Un vecchio compagno di scuola risponde a un commento scritto al mattino sui politici che rubano che sono però specchio della popolazione che è peggio di loro. Una banalità, Marco lo aveva scritto solo per reazione alle cretinate di Laura sulle auto blu. Ha ricevuto tre like, ma il vecchio compagno di scuola gli risponde aggressivo “solo i ladri difendono i ladri”. Marco vorrebbe lasciare perdere, ma poi ci ripensa, e risponde: “I moralisti sono i peggiori, non combinano mai nulla, criticano per frustrazione”. Sottinteso i moralisti come te. Riflette, sta per cancellare quella risposta, ma arriva la risposta del vecchio compagno di scuola: “No, il problema sono i parassiti, rubano soldi e lavoro a chi è preparato, se non fosse per i soldi che vi fanno avere i politici la tua radio avrebbe chiuso da tempo”, cerca di restare calmo, “diciamo che abbiamo opinioni differenti”, ma il vecchio compagno di scuola non si placa “potresti parlare dell’inchiesta per evasione fiscale sul proprietario della radio”, “parli di cose che non conosci”, “se chiude la radio c’è sempre la famiglia della tua futura moglie che ha fatto i soldi con la mafia”. Vanno avanti così per mezz’ora, è notte inoltrata quando la batteria dello smartphone di Marco è esaurita.

Dieci minuti dopo Marco suona alla porta dell’appartamento del vecchio compagno di scuola. Apre la madre, Marco la colpisce alla testa con una sbarra di ferro, il sangue esplode sul pavimento. Arriva il vecchio compagno di scuola, non capisce, non dice nulla, alza solo le braccia per difendersi.

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