Non aveva più paura di nulla, del gelo assassino, dei proiettili, dei russi che li avrebbero squartati. Sapeva che sarebbe morto e questo rendeva tutto più semplice. Camminava e non pensava alla fame, camminava e pensava solo a quanto era felice con la camicia nera mentre passeggiava lungo corso Vittorio Emanuele, a Forlì, la sua città, che poi era anche la città del Duce, e le ragazze lo guardavano. Pensava a quando Mussolini parlò nella piazza, tutti urlavano, lui urlava, ed era felice e tutto sembrava non finire mai. Ora solo buio, bianco, ghiaccio, morte che prima o poi lo fermerà, solo, in ritirata, perso.
Chissà dove è Forlì, quanto è lontana, chissà se qualcuno riporterà il suo cadavere alla madre. Le ragazze gli sorridevano, ma lui a 18 anni ancora non aveva trovato il coraggio di rispondere, in corso Vittorio Emanuele. Così ogni tanto andava con il cugino nella casa dove pagavi e stavi mezz’ora con una donna. Vorrebbe essere lì e invece stramazza a terra, la neve lo sta ricoprendo. Si risveglia, ma non sa se è risveglio o morte. Non è mai morto prima e non sa come è fatta la morte. Però sente caldo, vede il bagliore di un fuoco, un liquido bollente entra dentro ed è come un bacio di sua madre. Ma il viso che vede è tondo, con le guance arrossate, occhi celesti che a Forlì non ci sono, capelli biondi, lunghi. Parla una lingua strana, gli carezza il viso. E il brodo è buono.
Sono trascorsi sei mesi, sta meglio, riesce ad alzarsi, aiuta la donna con gli occhi celesti a spaccare la legna. Lei gli ha insegnato un po’ di russo. È molto più morbida delle donne del casino di Forlì e quando la prima volta si è spogliata ha pensato che non aveva mai visto dei seni così grandi. Lei gli è salita sopra e hanno fatto l’amore. All’inizio non ci ha capito molto, poi con il tempo è riuscito ad apprezzare. Un giorno si è allontanato dalla casa, c’erano solo campi e alberi, voleva vedere altri esseri umani, ma c’era solo una mucca scheletrica, poi ha sentito una mano afferrargli la spalla. Era lei, lo ha trascinato indietro, gli ha spiegato che era pericoloso, nessuno doveva vederlo. Un’altra volta è corsa in casa e gli ha urlato di chiudersi dentro l’armadio. Sono entrati tre soldati, qualcosa è riuscito a sbirciare attraverso un foro. Erano in tre, gridavano, lei diceva «sono sola», ma uno si stava avvicinando all’armadio. Allora lei gli ha toccato il petto. I tre, uno dopo l’altro, l’hanno presa, hanno bevuto, e dopo un’ora sono andati via.
Lei ha pianto. Quando è uscito dell’armadio non ha detto nulla ed è andato a dormire. Sono trascorsi dieci anni, la guerra è finita, è rimasta la fame. Lei è riuscita a procurargli dei documenti falsi, ora è un cittadino dell’Unione Sovietica, ma quando vanno in città finge di essere muto, perché tutti capirebbero che è straniero. Un giorno, però, si è sentito in prigione, ha riempito una valigia, ha spinto via lei che lo minacciava con un coltello e ha raggiunto Piotr, contrabbandiere conosciuto in città. In cambio di soldi, lo avrebbe aiutato a raggiungere l’Italia. Forse lo stava ingannando, forse no, ma non ne poteva più di quella prigione, di parlare solo con lei. Voleva tornare a Forlì, vedere sua madre, dirle che era ancora vivo; camminare di nuovo lungo il corso e tornare nel casino a scegliere una ragazza. Avevano già percorso cinque chilometri, quando gli ritornò in mente lei che piange dopo avere fatto l’amore con i tre soldati, per salvarlo. Dice al contrabbandiere di fermarsi, torna indietro a piedi. Resterà nella sua prigione. Un giorno il comunismo è finito, lei si è arricchita con la fattoria. È stata una vita di neve e nebbia, ma quando è morta, nel 2000, lui ha pianto. Da allora ha vissuto da solo, ma la gamba ha cominciato a fargli male e il braccio a tremare, ha pagato una ragazza perché venisse ad assisterlo.
L’ha scelta perché studia le lingue e parla un po’ di italiano. Solo che a volte lei non lo capisce, lui molte parole le ricorda solo in romagnolo. Poi un giorno le ha dato molti soldi e un compito: organizzargli un viaggio. Ora è un vecchio con il bastone che cammina tra due palazzi curvi, a Forlì, «ora si chiama Corso della Repubblica», pensa, guardando il cartello. Alla ragazza russa che lo assiste e che lo ha accompagnato, dice di non preoccuparsi, «vai avanti, aspettami laggiù, nella piazza, io voglio passeggiare da solo, lentamente». Lui si ferma in un bar e chiede un caffè, la barista dice che fa caldo per essere novembre, lui risponde in romagnolo. Esce, cammina, tutto è cambiato, c’è un hotel bianco che una volta non c’era, ragazzi, come era lui, che avanzano guardando il telefonino. Nella piazza uno prova a parlare con la giovane russa che lo ha accompagnato. Li guarda da lontano, gli viene da ridere, perché lei finge di non parlare né italiano né inglese. Si avvicina, il ragazzo si ritira, pensa che sia il padre o il nonno, «just talking» dice lui. Lei ride, il vecchio risponde: «Ma vat a ca’».