“Wuhan”, un racconto di Mauro Evangelisti

27 Marzo 2019

Sono appena sbarcato dal volo dall’Europa e in aereo non sono riuscito a dormire. È notte, l’aeroporto di Wuhan, Cina, è una terra inesplorata per me. Il terminal nuovo è sterminato e semivuoto, io dovrò aspettare 10 ore prima della connessione per Shanghai. In vita mia non ho mai provato una necessità di dormire – ora, subito – così intensa.

Un sonno tanto massiccio da annebbiarmi la vista e farmi tremare le gambe. Barcollo. Chissà come mi vedono gli altri che vagano nel terminal, anche se in realtà sono quasi tutti fantasmi come me spinti da un vento invisibile che li tiene in piedi. Vetrate, sullo sfondo il mondo, una territorio per me sconosciuto. Bar, ristoranti, duty free: è tutto chiuso, le luci sono basse, io potrei crollare sul tapis roulant da un momento all’altro. Trovo un angolo poco illuminato, mi stendo per terra perché tutti i sedili sono occupati da altri fantasmi che dormono. Uso lo zaino come cuscino, così nessuno potrà rubarlo. Punto la sveglia dello smartphone perché squilli tra 6 ore. Uso la giacca imbottita come coperta. Questa azione è il mio ultimo ricordo. Dormo.

Mi risveglio, ma la sveglia dello smartphone non ha ancora lanciato il segnale acuto. Apro gli occhi, mi guardo intorno. Non riconosco le luci ovattate del terminal dell’aeroporto di Wuhan. Il pavimento non è duro, sono su un letto. Morbido. Mi guardo attorno, è un hotel, i mobili sono antichi e solenni, deve essere almeno un quattro stelle. Dalla finestra intravedo delle luci di grattacieli, non capisco, eppure non sto sognando. Io mi sono addormentato sul pavimento dell’aeroporto di Wuhan, ne sono certo. Mi accorgo che il lenzuolo è umido, mi guardo la mano, è rossa. Sangue. Mi giro e solo ora mi rendo conto che al mio fianco c’è una donna, con la gola tagliata. Morta. Vicino c’è un coltello.

Bussano alla porta, urlano in inglese: aprite la porta, è la polizia. Io non ho ucciso nessuno, io stavo dormendo sul pavimento di un aeroporto cinese, ma è evidente che nessuno mi crederà. Devo fuggire. In questi grandi hotel le finestre sono sempre sigillate, ma sono fortunato: una laterale si solleva e sotto c’è la scala anti incendio, mente sento urlare “apra o sfondiamo la porta”, provo a scappare, mi ritrovo sulla scala antincendio, sotto c’è una città che potrebbe essere New York, ma non ne sono certo. Le vertigini mi fanno capire, ricostruire ciò che è successo: quella ragazza è Paola, eravamo a New York insieme e abbiamo litigato furiosamente. Sì, lo so: io stavo dormendo sul pavimento di un aeroporto cinese, ma allo stesso tempo capisco che sono anche a New York, ho colpito io Paola con il coltello e poi mi sono addormentato. Capisco tutto questo, ma è inutile perché perdo l’equilibrio.

Cado da un’altezza che sembra incalcolabile, il problema non è cadere, si dice, ma quando arrivi al suolo. Io però non sento l’impatto, mi sveglio di nuovo e sono sul mio letto, a Viterbo. Ho 32 anni, due lauree, ma abito ancora con i miei nel quartiere Santa Barbara. Non sto combinando nulla, ma i miei genitori in fondo sono contenti così perché resto con loro. Mi alzo e vado a fare colazione. Ora ricordo, il quadro si ricompone: è tutto vero, stavo dormendo sul pavimento di un aeroporto cinese; è tutto vero stavo dormendo in un hotel a New York con una ragazza, Paola, che ho ucciso; è altrettanto tutto vero: sono a casa mia, a Viterbo, e sto iniziando un’altra giornata inconcludente, svegliandomi appena in tempo per il pranzo.

Vado a tavola, mi madre mi sorride, mi fa una piccola carezza come se avessi ancora 12 anni, non 32. Ricordo: la sera prima Paola mi ha invitato a cena e mi ha detto che è innamorata di me e che vorrebbe che uscissimo insieme. Io le ho detto che è bellissima. Ma che ho bisogno di tempo. Il giorno prima un amico dei tempi dell’università a Roma mi ha detto che voleva parlarmi, siamo andati in una birreria e mi ha spiegato che cercavano un insegnante di italiano a Shanghai, che certo è un bel cambiamento, ma pagano bene e secondo lui mi farebbe bene, mi darebbe una scossa.

Io ora sto vivendo le tre alternative: il viaggio a Shanghai verso l’ignoto, la relazione con Paola finita male e il no a entrambe le proposte, per restare a casa con i miei. Non so cosa ho scelto: forse tra un po’ salirò sull’aereo verso Shanghai, farò scalo a Wuhan e dormirò sul pavimento dell’aeroporto, forse mi arresteranno a New York perché ho ucciso mia moglie in viaggio di nozze, forse mangerò gli spaghetti al tonno preparati da mia madre e poi andrò in camera mia a vedere una nuova puntata di Black Mirror.

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