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Turnaround – Ryo Fukui, “Scenery”, la recensione

7 Aprile 2020

È noto come il Giappone abbia subìto una profonda influenza della cultura americana dopo la fine della seconda guerra mondiale. Uno dei risultati di questo influsso a stelle e strisce è la passione dei giapponesi, incondizionata, quasi feticistica, per la musica jazz.

Anche l’oscuro pianista autodidatta Ryo Fukui si innamora della matrice originale della musica americana e declina, in una manciata di dischi presto dimenticati, le sue preferenze per l’hard-bop, il jazz modale e per musicisti come Bill Evans, Red Garland, McCoy Tyner.

Poi succede che il suo album di debutto, Scenery, dopo una trentina d’anni dal rilascio, postato su youtube, ottiene il favore crescente del pubblico, arrivando contare dieci milioni di visualizzazioni. Inevitabile la ristampa recente in vinile. Il trio, formato da Fukui al piano, Satoshi Denpo al basso e Yoshinori Fukui alla batteria, presenta alcuni standard senza tempo e un originale che da il titolo al disco.

Nulla di nuovo, la musica rispetta la tradizione e il fraseggio del piano non si avventura mai troppo lontano dalle melodie. Eppure la sensibilità del pianista accende una luce che vibra e l’insieme appare di una bellezza limpida e cristallina.

Ryo Fukui
Scenery (Trio Records, 1976)

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