Santa Rosa da Viterbo e il trasporto della Macchina
5 Settembre 2023Immaginate le migliaia di feste patronali d’Italia. Le migliaia di processioni in cui si porta in trionfo la statua del santo o della santa. Immaginate che in alcune di esse la statua in questione venga issata su una struttura più alta e complessa, detta “macchina”, termine tratto dal lessico del teatro barocco. E poi immaginate che una di quelle feste sia la regina delle processioni e delle macchine devozionali a spalla: il trasporto della Macchina di Santa Rosa, il 3 settembre a Viterbo, capoluogo di provincia (e di una provincia) dallo straordinario patrimonio storico-artistico, quasi “nascosto” tra Roma, l’Umbria e la Toscana.
Dagli ultimi giorni d’agosto, Viterbo torna a riprendere vivacità. Vie e piazze si ripopolano di gente e di eventi. Un climax di socialità proteso verso il grande appuntamento della Macchina. Dal 2013 l’UNESCO la riconosce come patrimonio immateriale dell’umanità. Non da sola: siccome l’unione fa la forza, la candidatura si è concretizzata grazie a un pluriennale lavoro di squadra con altre feste che vedono protagoniste grandi macchine a spalla. Oltre a Viterbo, i Gigli di Nola, i Candelieri di Sassari e la Varia di Palmi, sono unite nella rete GRAMAS. Il 4 dicembre 2023 ricorre il decennale dell’ingresso nella prestigiosa lista.
Come il Palio di Siena è la più celebre delle manifestazioni storico-rievocative medioevali, la Macchina di Santa Rosa può porsi come la più spettacolare e imponente tra le processioni di natura religiosa e popolare, elevandosi dalla semplice “festa di paese” per raggiungere importanti vette di valore artistico e di tutela delle tradizioni, grazie a una serie di rituali fortemente radicati. Ogni tot anni si cambia modello di Macchina, scelto attraverso un bando indetto dal Comune, unico ente di riferimento per l’evento insieme al Sodalizio Facchini di Santa Rosa. Il 2023 è stato il commiato della Macchina Gloria (ogni modello ha un nome) di Raffaele Ascenzi.
Ma allora cos’è, questa Macchina di Santa Rosa?
Il trasporto non è un palio, non è una competizione. Non c’è un vincitore, a parte la città nel suo insieme. Forse per questo le principali emittenti l’hanno sempre snobbato, considerato anche l’orario in prima serata. Al pubblico generalista si vende meglio una corsa che una sfilata. Ma l’immagine televisiva – chi scrive, nativo viterbese, può dirlo – toglie molto alla spettacolarità dell’evento, il cui modo migliore per apprezzarlo e capirlo è solo la visione dal vivo. Nonostante Viterbo, forse tra le città dal potenziale turistico meno espresso d’Italia (mi si perdoni un minimo di campanilismo), avrebbe bisogno come il pane di un’importante ribalta mediatica.
E quindi, in cosa consiste la Macchina di Santa Rosa? È una torre illuminata da fiaccole e luci elettriche, alta quasi 30 metri, pesante 5 tonnellate e fatta di metalli leggeri e vetroresina. Un centinaio di robusti uomini, i Facchini, alle ore 21 di ogni 3 settembre la sollevano a spalla e la portano lungo un percorso di poco più di un chilometro, con sei fermate. Tale tragitto si snoda nel centro storico di Viterbo, in parte attraverso vie piuttosto strette. Al passaggio della Macchina si spengono le luci per farla risaltare al meglio.
Santa Rosa da Viterbo: il culto e la Macchina
Il trasporto rievoca la traslazione del corpo di Santa Rosa da Viterbo, ritrovato incorrotto sette anni dopo la sua morte e portato nel luogo dell’attuale santuario. Ciò avvenne, per volere di Papa Alessandro IV, il 4 settembre 1258 (la data del 4 settembre è tuttora giorno festivo nel territorio comunale). Da allora si volle ripetere la processione con un’immagine o una statua della Santa su un baldacchino, che assunse dimensioni sempre più grandi, soprattutto dal Seicento. L’altezza odierna è stata raggiunta negli anni ’50 del Novecento.
Santa Rosa da Viterbo, giovane popolana di profonda fede vissuta nel XIII secolo ai tempi delle lotte tra papato e impero, non è molto famosa in Italia. C’è chi addirittura la confonde con la quasi omonima Santa Rosalia di Palermo, che ricade proprio il 4 settembre. C’è Santa Rosa da Lima, ben più conosciuta nel mondo. Tuttavia la Rosa viterbese gode di un culto diffuso in America: ben due città, una in Brasile e l’altra in Colombia, si chiamano Santa Rosa de Viterbo; in Messico, a Santiago de Querétaro, sorge un grande santuario a lei dedicato, anch’esso patrimonio UNESCO. E negli Stati Uniti, a Lacrosse (Wisconsin), c’è la Viterbo University con la statua della Santa nel campus.
3 settembre: il giorno di Viterbo
Nella giornata del 3 settembre l’atmosfera a Viterbo è quella della festa popolare. Gente ovunque, residenti e turisti. Bancarelle di frutta secca e venditori di palloncini. Persone che si incontrano solo in questa occasione. Porte e finestre chiuse tutto l’anno che magicamente tornano aperte. Nel pomeriggio i Facchini sfilano in visita a sette chiese del centro, poi in ritiro un paio d’ore in un convento in periferia. Intanto lungo il percorso, tra bande musicali e sbandieratori, cresce la folla e sale l’attesa. Sembra come se ogni pietra, ogni balcone, ogni particolare faccia parte del tutto. L’emozione sale man mano che il sole scende e una vibrazione mista tra tensione ed euforia pervade la città.
All’imbrunire i Facchini, preceduti dalla banda musicale, marciano a ritroso verso la “mossa”, un termine comune a tante manifestazioni folkloristiche che indica il punto di partenza. Mentre vanno a “prendere la Macchina”, acclamati dal pubblico, acquisiscono la carica necessaria a quella che resta comunque un’impresa. Dopo la benedizione del vescovo, prendono posto sotto le travi alla base della Macchina e, agli ordini del capofacchino, iniziano il difficile percorso. Come in una squadra, sono suddivisi in più ruoli, in funzione della posizione e dei compiti. Ci sono i ciuffi, che occupano le file interne (il “ciuffo” è un particolare copricapo in cuoio che protegge la nuca), le spallette e le stanghette, cioè i facchini delle file esterne.
Dopo circa due ore, i Facchini sono chiamati al grande sforzo finale: una ripida via in salita che conduce al Santuario di Santa Rosa. Si effettua quasi a passo di corsa, con l’aiuto di corde anteriori in aggiunta e di travi dette leve che spingono da dietro. La sofferenza si legge in ogni volto. Una volta posata per l’ultima volta sui cavalletti di sostegno, esplode la gioia tra i Facchini e in tutta la città. La Macchina rimane esposta per vari giorni, mentre l’urna che custodisce il corpo della patrona è visitata da una moltitudine di fedeli.
Francesco Mecucci